La casa nell'albero



di Francesco Tavanti

Inevitabilmente la casa nell'albero ci riporta con la mente ai giochi di quando eravamo bambini. Non solo per chi come me è nato e cresciuto in campagna, ma anche per quei bambini di città che giocavano nel parco vicino a casa, dove a scivoli e ponti sospesi vi si accedeva tramite casette aeree raggiungibili per mezzo di scale a pioli o funi annodate. Vicino a casa mia ce n'erano due di case negli alberi: una dentro un cipresso secolare lungo la strada, l'altra dentro una quercia lungo un muro di cinta di una villa dell'800.

 

La città che non vorrei



di Mauro Falsini

Fosse solamente cemento, almeno di quello buono a contenere i terremoti, avremmo poche giustificazioni nel rimanere sempre più disorientati dalla tristezza delle nostre città e periferie urbane. Purtroppo non è solo quello, ma è molto di più. Dobbiamo iniziare da molto lontano, dagli anni del boom economico, da quando cioè l’obiettivo primario era quello - legittimo peraltro - di dare un tetto alle orde migratorie che spopolavano le nostre campagne alla ricerca di una vita più dignitosa.

 

Il lanificio di Soci



Tra la fine del ‘600 e la metà del ‘700 due famiglie (Grifagni e Franceschini) monopolizzarono l’attività laniera di Soci divenendo i più importanti lanaioli del Casentino: i Monaci Camaldolesi avevano concesso loro ambedue le gualchiere operanti in paese e per alcuni decenni panni fini, mezzilani, stametti e rascette vennero prodotti in buona quantità. Nella seconda metà del Settecento non vi furono, a Soci, importanti lanaioli e solo all’inizio dell’800 l’attività prese vigore grazie a Pietro Ricci , già a capo d’un lanificio nella vicina Stia: il primo a ciclo completo sorto in Casentino.