Oro zecchino

di Francesco Tavnti

Moscato, Vinsanto, caramelle Rossana. Foto varie di famiglia. Album. Serviti di piatti, bicchieri e posate. Nei cassetti tovaglie e tovaglioli. Gondole che cambiano colore al variare della temperatura, bomboniere di ceramica e silver, ninnoli vari. Provenienza matrimonio, sacramenti, gite parrocchiali. Un carillon che suonava la domenica pomeriggio all’arrivo dei parenti. Una stanza buia e fredda. Mia nonna apriva gli scuri delle imposte e faceva ruotare la manopola dei termosifoni. Dietro entravo anch’io in quel mondo immobile di circostanza. Doveva essere così, surrealmente ordinato, formalmente freddo, pronto per mostrare il lato migliore della casa. Scevro dalla quotidianità. Approdo e permanenza, mentre si aggiornavano convenevolmente dei parenti non convenuti.
L’odore stantio di dolciumi e liquori ossidati è stampato nelle mie papille mentre scrivo. Inspirando posso entrarvi, girandomi intorno osservare ciascuna cosa al suo posto. Sentire un brivido di freddo e paura del buio, nell’intervallo che intercorreva fra l’aprire la porta e giungere con la mano fino all’interruttore. Era una stanza nostalgica, dove ripercorrere le tappe che contavano della famiglia riunita. Spesso scandite dalle cerimonie religiose. Non lo tradivano foto di gruppo. Giacche dalle spalle troppo grandi per lui, vestaglietta o gonna e camicia a seconda dell’età per lei. Oro zecchino, raccontato compulsivamente, ad ornare il servito buono. Era la Sala. La si era allestita secondo il modello americano degli anni ’50, adeguandola alla nostra cultura prossima contadina. Anche i centrini, permeabili alla polvere, ricoprivano ripiani di ogni genere e forma. Frutto del suo lavoro capace e rilassante, dopo aver rigovernato, prima di coricarsi.

 

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