Vanità



Nel linguaggio comune, il termine vanità indica un'eccessiva credenza nelle proprie capacità e attrazione verso gli altri. Prima del XIV Secolo non aveva alcun significato narcisistico, ma era considerata una futilità. Il relativo termine vanagloria oggi è visto come un sinonimo arcaico della vanità, un'ingustificata vanteria; sebbene il termine gloria oggi ha assunto un significato prevalentemente positivo, in latino il termine gloria (dal quale deriva la parola in italiano) significa approssimativamente vanteria, ed aveva spesso un significato negativo. In ambito filosofico, la vanità si riferisce ad un più ampio senso di egoismo e superbia. Friedrich Nietzsche scrisse che, secondo lui, "la vanità è la paura di apparire originali: perciò è una mancanza di superbia, ma non necessariamente di originalità". In uno dei suoi aforismi, Mason Cooley disse che "la vanità, nutrita bene, diventa benevola. Se affamata, diventa maligna". In molte religioni la vanità, nel suo significato più moderno, è considerata come una forma di auto-idolatria, nel quale l'individuo rifiuta Dio per la sua propria immagine, e di conseguenza non gli viene più concessa la grazia divina. Le storie di Lucifero, di Adamo ed Eva, di Narciso e di vari altri accompagnano i protagonisti verso l'aspetto insidioso della vanità stessa.

Negli insegnamenti Cristiani la vanità è vista come un esempio della superbia, una dei sette peccati capitali. Questo elenco si è allargato ultimamente con l'aggiunta della vanagloria, considerata un peccato indipendente dalla superbia, e quindi non riconducibile ad essa. Termini come narciso in luogo di vanitoso, o narcisismo in luogo di vanità, sono nati verso la fine del diciannovesimo secolo con la nascita dei primi studi psicoanalitici. Oggi vengono erroneamente usati come sinonimi. Quando è definita narcisismo, la vanità acquista una connotazione squisitamente patologica. Riportiamo qui di seguito quanto scritto alla pagina dedicata a Narciso nella sezione mitologia: "Nel 1899, Paul Näche è la prima persona ad utilizzare il termine "narcisismo" in uno studio sulle perversioni sessuali. Nel 1911, Otto Rank pubblica il primo scritto psicoanalitico specificamente centrato sul narcisismo. Nel 1914, Sigmund Freud pubblica uno saggio sul narcisismo intitolato Introduzione al narcisismo, dove amplia il significato del termine introducendo i concetti di narcisismo primario e di narcisismo secondario o protratto. Nel 1982, Havelock Ellis, un sessuologo inglese, usa il termine "narcissus-like" in un suo studio sull'autoerotismo, per indicare un tipo di perversione sessuale in cui l'individuo preferisce sessualmente il proprio corpo. Attualmente la parola narcisismo indica un vero e proprio disturbo della personalità. Nel comportamento umano, la vanità viene vista come futile e puerile compiacimento di sé; assenza di valori morali; superficialità, mancanza di serietà. Il Dizionario analogico della lingua italiana spiega la voce Vanità con: "immodestia, civetteria; spocchia; narcisismo, egocentrismo", da cui discendono le "Azioni: farsi bello, pavoneggiarsi, fare il pavone, fare il gallo; fare la ruota, darsi importanza, mettersi in evidenza, mettersi in mostra." Gli aggettivi applicabili alle persone sono in questo caso "vanesio, vanitoso, fatuo, tronfio; pavone, Narciso; smorfiosa, civetta." Nel suo Dizionario dei sinonimi della lingua italiana, Niccolò Tommaseo pone il termine Vanità (nell'ambito dei comportamenti umani) nell'area semantica della Superbia insieme ad Alterigia, Orgoglio, Disdegno, Presunzione. "La vanità è vana opinione del proprio merito, congiunta alla smania di mettere il proprio merito in cose vane e dappoco. La vanità ha più del ridicolo che i vizii notati [...] viene da leggerezza di mente [...]. Tanto la vanità si distingue dai vizii notati, che in luogo d'essere arrogante, ambiziosa, presuntuosa, altera, superba, la si collega, talvolta, a certa semplicità, a certa grazia; in specialità nelle donne." Comunemente la vanità è definita come l'eccessivo desiderio di attuare una propria perfetta immagine (perfetta dal punto di vista del soggetto che la ricerca) da esporre al pubblico, o prossimo, o mondo. Nella parlata popolare, alcuni confondono la vanità con l'orgoglio e l'egoismo o la superbia. Ma appartiene più all'area della superficialità che del male. La religione cattolica ad esempio non annovera la vanità tra i vizi capitali, bensì la superbia. Il concetto della vanità si esprime nella mitologia greca, in modo sintetico e preciso, attraverso la figura di Narciso. Egli, giovane innamorato dell'immagine di sé riflessa nell'acqua del fiume, non può più allontanarsene: "Contempla gli occhi che sembrano stelle, contempla le chiome degne di Bacco e di Apollo, e le guance levigate, le labbra scarlatte, il collo d'avorio, il candore del volto soffuso di rossore ... Oh quanti inutili baci diede alla fonte ingannatrice! ... Ignorava cosa fosse quel che vedeva, ma ardeva per quell'immagine ..." ... e muore d'amore.

 

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