Da qualche giorno non scrivo più in questo blog, e non lo farò neppure nel futuro. Di fatto è chiuso. Ciò che penso e che vedo si trova su un nuovo spazio, il cui indirizzo è:
francescotavanti.blogspot.it
Grazie
Francesco
The end
28/02/14 | 1 commenti
Aspettando la neve dell'anno scorso
Non tutti l'amano. Chi pensa agli olivi, chi al traffico, chi alle persone che non verranno a lavorare e agli ordini che non partiranno. E' cmq una bella scusa per staccare, per riposarsi, per lasciare l'auto ferma e camminare. Incontrare i vicini di casa, giocare con i bimbi, ripararsi dal freddo dentro vestiti esageratamente ingoffanti e di fronte a focolari ingordi.
In un inverno troppo mite questo freddo siberiano é l'illusione che nulla sia cambiato. Che il freddo c'è ancora, alla faccia dei cambiamenti climatici e dell'effetto serra.
Certi argomenti sembrano démodé, ormai ci stiamo assuefando e normalizzando. I ragazzini ti guardano attoniti e incuriositi nell'apprendere che non e sempre stato cosi. Tutti gli argomenti causa della rottura climatica...
18/02/14 | 0 commenti
Quando arrivai
William Wordsworth
Il Paradiso è dentro di noi, da qualche parte nell'infanzia.
03/02/14 | 0 commenti
Ogni qual si voglia Ghibellina
Ogni qual volta finisce la Ronda Ghibellina provo un senso di disgusto, di stanchezza nel parteciparvi, e mi prometto che dopo tre edizioni posso passare ad altre mete. Che in fondo non è così bella come molti dicono, e che la stessa organizzazione è migliorabile e non poco. Penso al ristoro finale, fatto di crostatine confezionate al cioccolato ed alla marmellata, oltre al the caldo. Decisamente insufficiente per ricostituire l'energia degli atleti dopo 27 Km di vera fatica. Quest'anno arrivato in piena crisi di fame, lo faccio presente, mi sento in diritto per me e per gli altri. Una partecipante mi appoggia, rispondendo alle signore dell'organizzazione che mi avevano chiesto cosa mancasse. "Tutto: frutta, dolci, crostini, succhi di frutta" interviene prontamente. Nessuno vuole la polemica e la cosa finisce lì. Insomma mi doccio, e in macchina con le gambe a pezzi ripenso alla mattinata e a chi nell'Ultratrail deve ancora arrivare. Li accompagno con il ricordo della passata edizione. Ripercorro ogni salita ogni sentiero. Guado fiumi, scivolo tra le stradine medioevali, circuisco castelli, mi lascio cadere nel bosco per poi sorvolarlo come il Drone utilizzato per le riprese sulla partenza.
Parlo con chi incontro, salto muretti, cammino e corro. Pianifico i rifornimenti in autonomia, mi sfamo avidamente di arance e frutta offerte nei punti più arditi. Mi spoglio e mi rivesto, mi riallaccio le stringhe. Cerco di ascoltare ogni cosa. Di osservare volti, marche di scarpette e racchette. Valuto morfologie altrui, alla ricerca della biometrica ideale per questa disciplina. Uomini e donne, giovani e anziani, accenti del nord e del centro-sud. Chi neofita chi veterano. Qua e là qualche polemica, relativa alla segnaletica e ai sorpassi di chi, non rispetta la fila indiana al passo. Cerco di farmi un'opinione se sia giusto o meno sorpassare, quando obbligati dal singletrack, aspettiamo il nostro turno. Boh! Preferisco allungare il pensiero, tenere in sospensione la riflessione, per concludere senza darmi una risposta, ritrattando la personalissima convinzione che: in fila non si sorpassa. E' la sospensione della corsa, l'instante dove entrambi i piedi non toccano terra, la strada come meta finale, allontanando il traguardo e con esso l'abbandono della fatica. Starci dentro fino in fondo, consapevolmente, coscienziosamente. Fare ciò che possiamo. Rallentare se necessario, perdere obiettivi e velleità agonistiche. Perché ciò che davvero conta, lo dico per me, è correre, farlo fino dove possiamo come Forrest Gump. Avere un approccio Panteistico, dove il D'io lo si trova in ogni tratto della natura, e per eccesso smarrirsi, smaterializzarsi in miliardi di molecole. Provo quasi fastidio nel percepire eccessi d'agonismo, traditi da ansia ed escamotage vari. Mi chiedo se è invidia nel non poter ambire a posizioni avanzate. La risposta, sta in 25 anni di corsa, passati a rincorrere più il tempo libero per allenarmi che risultati in quella o quell'altra gara. Sta nel sentimento paritetico, che mi accompagna sia quando arrivo dietro che davanti ai miei compagni. Ciò che vado cercando sono emozioni semplici e vere. Ed è per tale ragione che l'anno prossimo tornerò nella Valle, magari di nuovo nella 44, a rincorrere sogni di autenticità, che pochi luoghi come questo possono donarti. Francesco
Vanità
Nel linguaggio comune, il termine vanità indica un'eccessiva credenza nelle proprie capacità e attrazione verso gli altri. Prima del XIV Secolo non aveva alcun significato narcisistico, ma era considerata una futilità. Il relativo termine vanagloria oggi è visto come un sinonimo arcaico della vanità, un'ingustificata vanteria; sebbene il termine gloria oggi ha assunto un significato prevalentemente positivo, in latino il termine gloria (dal quale deriva la parola in italiano) significa approssimativamente vanteria, ed aveva spesso un significato negativo. In ambito filosofico, la vanità si riferisce ad un più ampio senso di egoismo e superbia. Friedrich Nietzsche scrisse che, secondo lui, "la vanità è la paura di apparire originali: perciò è una mancanza di superbia, ma non necessariamente di originalità". In uno dei suoi aforismi, Mason Cooley disse che "la vanità, nutrita bene, diventa benevola. Se affamata, diventa maligna". In molte religioni la vanità, nel suo significato più moderno, è considerata come una forma di auto-idolatria, nel quale l'individuo rifiuta Dio per la sua propria immagine, e di conseguenza non gli viene più concessa la grazia divina. Le storie di Lucifero, di Adamo ed Eva, di Narciso e di vari altri accompagnano i protagonisti verso l'aspetto insidioso della vanità stessa.
02/02/14 | 0 commenti
To be, or not to be, that is the question
« Essere, o non essere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire… nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve farci esitare. È questo lo scrupolo che dà alla sventura una vita così lunga. Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo, il torto dell’oppressore, la contumelia dell’uomo superbo, gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge, l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo che il merito paziente riceve dagli indegni, quando egli stesso potrebbe darsi quietanza con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli, grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa, se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte, il paese inesplorato dalla cui frontiera nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà e ci fa sopportare i mali che abbiamo piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti? Così la coscienza ci rende tutti codardi, e così il colore naturale della risolutezza è reso malsano dalla pallida cera del pensiero, e imprese di grande altezza e momento per questa ragione deviano dal loro corso e perdono il nome di azione. »