Manifattura pensante o alienante?



Credo che ci sia una differenza sostanziale tra il modo di produrre delle donne cinesi rispetto alle donne italiane. Infatti mentre le prime eseguono come macchine ciò che gli viene commissionato, riuscendo a creare delle copie presso che perfette, le seconde creano mentre realizzano. E’ frequente il caso che partendo da un campione si ottengano delle migliorie durante la produzione. “Avrei pensato di fare così, che ne pensi!?” dice la Fiorella della situazione “fammi vedere, sai che hai ragione!” risponde la maestra, proseguendo poi “va fatto vedere anche a tutte le altre”.
Il modo che noi abbiamo di produrre, fa parte di noi, di ciò che abbiamo visto fare da bambini da mamme e nonne, da ciò che abbiamo sentito raccontare. Il nostro fare è il prodotto della nostra cultura del nostro essere e di ciò che abbiamo appreso nel tempo. “Abbiamo rubando con gli occhi mentre ascoltavamo chi, facendolo loro stesse, ci spiegavano, come passaggio dopo passaggio si doveva procedere”, mi dice mia nonna. Ciascuna ha il suo modo di fare, nella stessa operazione, nello spazio minuscolo di un puntino dato con ago e filo, ci sono innumerevoli scuole e correnti di pensiero. Quella che dice che è meglio fare in un modo, mentre l’altra sostiene di aver fatto sempre in maniera diversa e che il risultato finale è risultato sempre ottimo. L’operato non sempre fonda le sue ragioni in aspetti puramente tecnici, lasciando spesso la precedenza a ragioni di tipo tradizionali e culturali.
Per queste semplici ragioni mi chiedo come una società si possa privare di produrre ciò che indossa. Come sia possibile delegare completamente ad altri la produzione di un bene primario come l’abbigliamento. E’ come se in un paese non si coltivasse più il cibo di cui si nutrono le persone che vi abitano, oppure come se non costruissero più le case in cui vivono.
Mangiare, vestirsi avere un tetto dove rifugiarsi, sono i più primari di tutti i bisogni e come tali per mantenere la propria identità, è fondamentale continuare a soddisfarli in autarchia.
Ogni cultura dovrebbe continuare a proporre al mondo i suoi costumi, da essa realizzati.
Che non solo le fabbriche, ma anche singoli artigiani dell’abbigliamento, abbiano l’opportunità di vivere del proprio lavoro, delle intuizioni sintesi fra cultura, esperienza e sogni.

(Francesco Tavanti)

 

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