La casa nell'albero



di Francesco Tavanti

Inevitabilmente la casa nell'albero ci riporta con la mente ai giochi di quando eravamo bambini. Non solo per chi come me è nato e cresciuto in campagna, ma anche per quei bambini di città che giocavano nel parco vicino a casa, dove a scivoli e ponti sospesi vi si accedeva tramite casette aeree raggiungibili per mezzo di scale a pioli o funi annodate. Vicino a casa mia ce n'erano due di case negli alberi: una dentro un cipresso secolare lungo la strada, l'altra dentro una quercia lungo un muro di cinta di una villa dell'800.
La prima era davvero insolita in quanto i cipressi per la loro forma stretta e lunga difficilmente ospitano tali rifugi. Questo era particolarmente largo e proteggeva il suo segreto con una vegetazione davvero serrata. Solo per caso, una volta intravidi uno spiraglio e con l'aiuto di un mio amico che con le mani intrecciate mi faceva "scaletta" entrai nel covo. Non c'era niente ma il fatto di essere lì mi dava la sensazione che fosse solo mio. Non sapevo quando e da chi fosse stato costruito. Le assi di legno erano ingrigite dal tempo. Al centro c’era una piccola piattaforma dove poter stare in piedi, mentre tutt’intorno delle assi inchiodate su dei rami tagliati davano la possibilità di sedervisi. C’era il posto angusto per due tre ragazzini, che annidati li, si potevano appartare. Come nel ventre materno quell’albero con la sua chioma mi proteggeva. Il pedone mi portava in alto in mezzo al cielo. La si poteva sognare, i pensieri si facevano leggeri come gli uccellini che intrecciavano i loro nidi poco sopra di me. Sostavo cercando di scorgere prima da un lato poi dall'altro il mondo che mi girava intorno. Era il ritorno alle origini, là da dove i miei avi-scimmie erano scesi per andare a conquistare il mondo. A terra scorrazzavano le bestie feroci, troppo forti per essere affrontate. Ma era anche un'astronave pronta a decollare per viaggi inter-stellari. Oppure un castello la cui collina era un pedone, la fune il ponte elevatoio, la chioma le mura, e l'altezza la torre, da cui ti facevi imprigionare gettando le chiavi verso l’infinito.
D’inverno la casa nella quercia vicino alla villa, si mostrava a chi avesse avuto l’accortezza di alzare gli occhi al cielo. Qui per salire erano state inchiodate delle asticelle al tronco. Oltre alla pedana di legno c’erano anche le pareti così da formare una vera e propria postazione birdwatching.
Ogni casa reale o immaginaria era diversa da tutte le altre, ogni albero aveva le sue caratteristiche. La specie, l’età il luogo dove dimorava. Tutte peculiarità che spingevano ciascuna mente ad adattarvi una Domus Botanica. Alcune volte sogno di costruirmene una, dove portare le mie ghiande e raggomitolarmi in letargo cullato dal vento d’autunno.

 

2 commenti:

LukeSeaLuz ha detto...

Anche nel nostro giardino avevamo una casa in un piccolo albero.Non era proprio una casa ma solo delle assi a mo' di pavimento,qualche oggetto sparso qua o là, ma nella nostra mente diventava castello . Quelli erano tempi meravigliosi .... ciao Michi..

Anonimo ha detto...

Grazie di questo bel commento.
Ciao Francesco