La battitura del grano

di Francesco Tavanti

Quella superficie piatta ed infinita, si estende nell’entroterra fino a perdersi nelle colline coperte di olivi e lecci. Mi è dolce lasciarmela alle spalle, quando da Grosseto si va verso Siena. Mi ricorda la campagna di Bésiers, e quella propaggine del mare prima di perdersi nelle vecchie colline. C’è anche la luna rosseggiante, che come una lampada d’arredo, sta appesa la di fronte.
Il caldo notturno di metà luglio, fa si che stando fuori a frascheggiare, sembri di essere all’interno di un’abitazione, tanto il tepore assomiglia a quello che si trova nelle case d’inverno. E’ facile perdersi all’imbrunire, nascondersi in una notte che non ti copre mai abbastanza, per poi riapparire all’alba, dopo poche ore. Ogni piccolo paese è in festa, la stessa che si faceva allora dopo la battitura del grano. Nell’aia si imbandivano lunghe tavolate, d’ogni ben d’Iddio. Tipico era mangiare l’Oca, Ocio in aretino. Le tagliatelle venivano condite con il suo sugo, e poi teglie appena tolte dai forni a legna, si posizionavano a distanze regolari. La fisarmonica accompagnava balli e canti, illuminati dalle lanterne e dalla luna.

 

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