Luca Zanaroli, racconta l'approccio al suo rifugio nel Salento.

Quando mi sono imbattuto in quello che sarebbe diventato il mio rifugio in Salento, la cosa che mi ha immediatamente colpito del fabbricato, così come del luogo, è stata la sua “monumentalità”. Non tanto per un particolare valore artistico o architettonico (in realtà si tratta di una costruzione piuttosto rudimentale e povera), ma per la sua forza e capacità espressiva, rappresentativa del carattere e della cultura di quel territorio. E’ stato allora che decisi che l’intervento di recupero avrebbe dovuto mantenere intatta l’impressione avuta sin dall’inizio. Tipico esempio di architettura rurale del basso Salento in pietra a secco, l’edificio in realtà è costituito da due corpi di fabbrica, di tipologia ed epoche diverse, contigui ma non comunicanti. Il più antico, cosiddetta “pajara”, risalente al diciottesimo secolo, è di forma troncoconica a due gradoni e a pianta circolare con volta a cupola. Veniva utilizzato tutto l’anno come deposito di attrezzi e legna. Ad esso, in epoca successiva (verso la fine del 1800), fu addossato un fabbricato più grande chiamato “làmia”, di forma troncopiramidale e a pianta quadrangolare con volta a botte, utilizzato come riparo e abitazione stagionale dai contadini che lavoravano la terra. Spesso, come in questo caso, veniva costruito in prossimità del fabbricato anche un grande forno dove si preparava il pane o i fichi con le mandorle che venivano infornati dopo essere stati essiccati al sole, stesi sui cannizzi sopra i tetti piani di copertura raggiungibili da piccole scale ricavate nella muratura. La gente del posto frequentava e conosceva bene questo luogo. 

Ancora oggi mi raccontano che nelle serate estive si riunivano qui, dopo una giornata di lavoro nei campi, uomini, donne e bambini, per suonare, cantare e ballare, e raccontare storie seduti sulle panche in muratura ancora esistenti all’ingresso della làmia; o ancora delle nottate passate sui pagliericci sistemati direttamente sul pavimento. L’edificio era abbandonato da anni e in pessimo stato di conservazione. Il forno era in gran parte crollato ed erano presenti ampie macchie di umidità sulle pareti dell’interno dovute all’infiltrazione dell’acqua. Fortunatamente si era conservata la maggior parte del fabbricato, ed era ancora riconoscibile quella particolare patina che il tempo aveva lasciato sulle pareti esterne e che ho conservato con doveroso rispetto. E’ stata ricavata la cucina dal volume ormai crollato del forno. Ho realizzato un piccolo ampliamento per ricavare il bagno con annesso guardaroba. Sono stati infine collegati tutti gli ambienti interni tramite lunghi passaggi scavati nella spessa muratura, raccordando le quote di pavimento dei diversi ambienti con rampe in leggera pendenza per accentuare l’idea di continuità spaziale. Ho cercato di evitare interruzioni nette o spigoli vivi e ridurre al minimo le partizioni verticali, anche per consentire alla luce e all’aria di entrare il più possibile all’interno. Essenzialità delle forme e dei materiali, luce e aria come componenti dello spazio, ambiente costruito e ambiente naturale come parti di un unico spazio architettonico, sono le caratteristiche principali di questo intervento. Per ottenere il risultato che volevo, la scelta degli elementi di chiusura è stata determinante. Da un lato avevo la necessità di garantire un adeguato livello di benessere e di sicurezza, dall’altro ottenere la piena integrazione e fusione dello spazio interno con quello esterno, considerando l’ambiente naturale circostante parte integrante del carattere e dell’identità del luogo. Avevo, inoltre, la necessità di utilizzare elementi in grado di inserirsi nell’architettura preesistente con il minimo impatto, ma nello stesso tempo di differenziarsi anche visivamente e caratterizzare qualitativamente l’intervento sotto il profilo estetico, funzionale e prestazionale. Sono stati utilizzati infissi in acciaio verniciati a polvere epossidica di colore bianco, incassati nella muratura per rendere meno evidente la loro presenza dall’esterno. Le superfici interne, sia i pavimenti trattati a malta cementizia che gli intonaci realizzati con calce e polvere di tufo, legano i differenti volumi e allo stesso tempo riflettono morbidamente la luce naturale che entra dalle piccole ma numerose aperture, trasmettendola nelle parti più interne degli ambienti. L’utilizzo di chiusure completamente vetrate consente, in ogni periodo dell’anno, di godere pienamente della luce che qui è davvero unica e speciale".

 

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